domenica, settembre 27, 2009

Adorava New York, la idolatrava smisuratamente!


Il fatto è che sono stata a New York.



Sì, è molto che non vengo qui a scrivere, ma chissà perché mi riusciva difficile farlo.
Comunque, davvero, "sono stata a New York" riassume quello che vorrei dire e descrive il mio stato d'animo.
Finora è stato il viaggio dei sogni, quello che non avrei mai pensato di poter intraprendere, distante. Troppo distante.

L'università mi ha resa sempre più nervosa, non riuscivo a superare alcuni esami mentre quelli di laboratorio a gruppi, mi facevano perdere completamente la pazienza dietro ai miei colleghi. Come ogni anno d'altronde, luglio da noi è così. O forse (probabile!) sono io che non sono capace. Insomma, sono arrivata al punto in cui se non partivo, partivo di cervello (qualcuno ha detto "vedrai un giorno nel mondo del lavoro"? I know, I know...).

New York era stata scelta come meta ormai da Febbraio, anche se ne avevamo parlato anni prima (forse un paio), ma finalmente era prenotata. Per cui stavo lì a lavorare con il pensiero un po' sognante su ciò che avrei fatto dopo. Eppure tutto era ancora sfocato, non mi rendevo conto di quello che significava. Ragazzi, New York City, la città che non dorme mai, quella dei film e dei telefilm! New York!



Vorrei poter racontare ogni tappa da quando siamo scesi dall'aero, ma risulterebbe noioso. Dico semplicemente che è stata l'esperienza più totale (totale in senso più ampio del termine. Da soli, io e Andre, così lontani e alle prese con un mondo diversissimo dal nostro.) che finora ho vissuto.

Ricordo perfettamente il momento della svolta, della presa di coscienza, dell'insegnamento che La Grande Mela mi ha dato: eravamo al Toy's R Us, il negozio di giocattoli a Times Square. Stavamo salendo al secondo piano, fermi sulla scala mobile e pensavo, pensavo, pensavo (ma quanto ci metteva? Mi è parso di starci una vita!).
E lì: "tac!", ho capito. Come se il mio cervello avesse finalmente elaborato il risultato ad un'operazione intricata, dove gli addendi erano piccole domande che avevano popolato la mia mente fino a quel momento.

Io, al di là di Andrea che era con me, mi trovavo in un posto nel mondo completamente estraneo e affascinante, dove dovevo cavarmela senza aiuti. Dove se fosse capitato qualcosa a lui (ma anche a me stessa) avrei dovuto fare qualcosa, muovermi, crescere improvvisamente di qualche anno che ancora mi manca per essere davvero considerabile adulta.

Non lo so, è così difficile da descrivere... A ogni modo è stato rendermi conto delle mie responsabilità e del fatto che nella vita non si torna mai indietro, si va solo avanti.
Frasi fatte, banalità che sembrano uscite dai biscotti della fortuna, ma che nascondono concetti più ampi. Forse durante l'adolescenza, quando si odia ogni cosa e si crede che tutto il mondo ce l'abbia con noi, è proprio perché cominciamo a intravedere quello che accadrà dopo e vorremmo poterci opporre.
Solo che, quando a diciotto, diciannove e vent'anni, mi sono guardata e ho detto "Sono cresciuta", quella presa di coscienza avvenuta sulla scala mobile di un negozio di giocattoli a New York non c'era ancora stata. E' qualcosa di più forte e radicato di un pensiero, è una specie di verità assoluta, pura e semplice.

E io, in quel momento presa da ricordi un po' malinconici (Ma quand'è che ho smesso di comprar giocattoli con mia madre e mio fratello?), l'ho sentita entrare dentro, quella sensazione assoluta. Forse non accade solo una volta, forse è solo la prima di una lunga serie di lezioni che si devono imparare.

E così, al di là della magnificienza della città con i suoi edifici altissimi, i musei e le stramberie più varie, ho avuto un sacco di insegnamenti e sono tornata, un po' diversa da prima, forse un passo più avanti. E poi si è anche sciolto un peso ed è esplosa la mia vena artistica. Avrei disegnato, scritto e cantato ogni secondo. Avrei voluto urlare al mondo che lo abbraccerei forte, tutto. E tutti.

E a ritornare ho sofferto come non mi era mai capitato.

Continuo a star male.
Sogno di essere sull'Empire State Building o di camminare per andare a far colazione da Zabar's e mi sveglio sconvolta, come se avessi fatto tutte le ore di viaggio in un minuto. Fa' un po' ritorno da una Crociera Costa, lo so... eh eh.

Che posso dire? Mi ero perfettamente ambientata: persone cordiali (forse un po' brusche all'inizio, ma sempre gentili), cibo fantastico (e chi l'ha detto che si mangia male? E non ho mai neppure visto un Mc Donald's!), albergo centrale, tutto che funzionava perfettamente, atmosfera da film, nuovi posti da scoprire, figure di merda allucinanti... Stavo bene e quando avevo voglia di piangere, mi mettevo sul letto e lo facevo, con Andrea che non mi chiedeva nulla e mi coccolava finché non ci addormentavamo.

Forse è che... ero felice ed ero libera di dimostrarlo senza sentirmi in colpa ("Sono pronto per rialzarmi ancora e il momento che aspettavo è ora...").

E' così: è facile parlare quando si è tristi e tutto va di merda, ma quando sei felice come fai? Intanto io ho sempre il terrore che accada qualcosa di orribile perché penso sempre che non me lo merito (perché poi ce l'ho tanto con me stessa a volte?!) e anche perché la vita è fatta così. Però alla fine è giusto vivere anche momenti di gioia senza doversi vergognare. Anzi, forse è molto meglio così che non passare il tempo a lamentarsi di problemi che alla fine hanno tutti quanti.

Per concludere? Volevo solo parlarne. Rendermi conto, riprendere in mano il blog. Uscire dal Dead Poet un po' brilla, prendere Andrea per mano e mettermi a cantare Zucchero, traballando per la 79th st.


"New york era la sua città e lo sarebbe sempre stata"


[In questo post: Neffa "lontano dal tuo sole" e Woody Allen "Manhattan" , image by me]